La Chiesa è come un libro aperto: parla. Anzi: in essa è scolpita con forza e in modo indelebile la fede e la sensibilità umana oltre che teologica, della gente, dei suoi preti, degli artisti e tecnici che l’hanno realizzata. Le linee, la presa di possesso degli spazi, le iconografie…, tutto racconta la ricchezza o la povertà di un progetto sviluppatosi lungo il tempo, ma anche la concezione del Mistero e il modo di intenderlo e di scrutarlo.
Allora, al di là della struttura materiale, o meglio, dentro di essa c’è vita, c’è fede, c’è storia, c’è l’uomo che guarda verso il suo Dio, senza dimenticarsi che fa questo insieme con i fratelli di cammino tanto da costituire una comunità.
La nostra chiesa, data per vera la premessa, è di non facile interpretazione.
L’armonia che i nostri avi avevano trovato nel 1700 è stata violentemente infranta da tonnellate di cemento che hanno abbattuto una parete, demolito altari laterali, sconvolto l’orientamento celebrativo.
In tanti ci siamo domandati quale logica avesse guidato coloro che in quegli anni ’70 hanno preso decisioni a dir poco sorprendenti, le cui conseguenze avrebbero toccato la comunità cristiana bussolenghese fino a un futuro remoto impensabile (e noi siamo solo un futuro prossimo con la possibilità di far da ponte tra le generazioni del passato che ha operato tale scelta e i nostri figli e i figli dei figli che non avranno più legami se non l’edificio stesso come sarà loro trasmesso).
Tali considerazioni, però, non son fatte per piangere sul latte versato, né per spargere stille di rabbia e veleno. Sarebbe infantile e cattivo. Son fatte per essere realisti ed arrivare a dire: ora la chiesa di S. Maria Maggiore è questa; ora lì ci troviamo; lì celebriamo il Mistero di Dio. E se questa è la nostra chiesa, le vogliamo bene: ha un senso ed è NOSTRA e noi siamo SUOI.
Questo ci ha ispirato nel progetto di adeguamento e di stabilità: ridisegniamo gli spazi e accogliamo il senso di ciò che in modo permanente diventa segno di un Mistero e sua possibilità di celebrarlo.
Ecco allora il
PRESBITERIO, ampio e avvolgente che, come un abbraccio, prende possesso della parte centrale della “chiesa vecchia”, ma include anche la “nuova” tanto da renderle il più possibile non più due, ma una sola.
E’ in marmo rosso di Verona, il marmo della nostra terra: caldo, bello, luminoso come il cuore della sua gente. Quasi si vede trasudare la fede dei nostri padri che quella terra hanno calcato , lavorato, trasformato. Terminati i loro giorni, han passato il testimone. Posta lì, quella terra diventa allora testimonianza di fermezza e solidità, insieme a monito di continuità e impegno di speranza e pace.
Su di esso poggia l’
AMBONE, il luogo della Parola.
Non un arredamento delicato e lezioso, nemmeno un leggio esposto a mobilità, ma uno spazio definito, un luogo elevato, stabile, ben curato e solido. Incute rispetto solo a guardarlo. Non paura. Proprio come la Parola che da esso verrà solennemente proclamata: chiama attenzione per facilitare un ascolto interessato, che non sarà finalizzato a sé, ma porterà alla vita, come pure all’Eucaristia che su quel presbiterio è celebrata. Senza la Parola che suscita e nutre la fede, la vita rischia di non trovare il suo vero senso e la celebrazione sacramentale non è possibile.
Un altro elemento importante e stabile che ora abbiamo nella nostra chiesa è la SEDE. Là, colui che presiede la celebrazione si colloca sia per potersi mettere in diretta comunicazione con l’assemblea, sia per esprimere in modo visibile che è il responsabile della celebrazione, ma mai il padrone. E la responsabilità è veramente grande: dev’essere segno di Cristo che “sta in mezzo ai suoi come colui che serve”.
Ed eccoci all'
ALTARE.
E' il vertice. L'occhio corre subito là, si posa e non vuol più staccarsi tanto è bello, nella semplicità dei lineamenti che lo caratterizzano. E' moderno, disegnato con genio d'artista e realizzato con maestria.
E' in marmo nembro rosato, utilizzando una parte di un altare antico (il paliotto) già patrimonio della nostra chiesa. E questa sintesi tra il nuovo e l'antico che in esso si son fusi perfettamente, diventa l'auspicio e la responsabilità della nostra comunità che intorno ad esso siederà per celebrare.
Finalmente, dopo tantissimi anni in cui si è celebrato su una tavola “provvisoria e precaria”, la nostra comunità cristiana ha il suo “segno permanente di Cristo sacerdote e vittima, mensa del sacrificio pasquale che il Padre imbandisce per i suoi figli nella casa comune, sorgente e segno di unità e carità”.
Adesso celebriamo non su un monumento e nemmeno su una tomba, ma sul cuore che riempie lo spazio liturgico, il luogo dell'Eucaristia che rende evidente Gesù, il suo mistero d'amore, la sua esistenza vissuta all'insegna del donarsi fino alla croce dove ha raggiunto il culmine offrendo la vita.
Il Vescovo consacrerà l'altare. In quell'occasione porrà in esso le reliquie dei santi, coloro che hanno vissuto lo stile di Cristo, il Martire fedele, a tal punto da essere additati dalla Chiesa come modelli e protettori. Abbiamo scelto le reliquie dei nostri patroni: S. Zeno e S. Valentino. Vicino ci saranno il Beato Nascimbeni (anche come riconoscenza e ringraziamento alle sorelle della Sacra Famiglia di cui è fondatore, che da tanti anni sono presenza significativa a Bussolengo) e S. Paolo, dando così risalto all'anno paolino che stiamo vivendo. Non poteva mancare una reliquia che racchiude varie testimonianze della Passione di Cristo, presente tra i nostri tesori, venerata dai nostri padri bussolenghesi e da loro tramandata e messa nelle nostre mani (anche qui il passato si unisce al presente e, senza indugio, va verso il futuro... Ancora una volta un segno e un monito che percorre e supera tempo e spazio, rendendo l'Eternità più vicina).
E per finalizzare il nostro percorso, scendiamo dal presbiterio fino a raggiungere il
BATTISTERO, posto proprio ai piedi quale “porta obbligata” d'accesso. Non è a caso che il fonte battesimale sia stato posto proprio lì: siamo all'interno dell'assemblea riunita che si costituisce in comunità (e l'acqua del battesimo genera alla vita di figli di Dio come Chiesa), pronta per il cammino verso l'Eucaristia che diventa il grande progetto, vertice e culmine della vita cristiana.
Il Battistero, in nembro rosato, lo abbiamo ereditato da chi ci ha preceduto nel segno della fede. Chi l'ha ideato ha avuto un'intuizione davvero illuminata: sembra proprio un seno materno al culmine della gravidanza, pronto e desideroso di dar la vita. Ed è proprio così: lì i figli sono generati alla vita di Dio “nell'acqua e nello Spirito”. Anche esteticamente risulta armonizzato pienamente nel contesto del nuovo complesso. Poggia su un basamento circolare di “rosso Francia” (che richiama il paliotto e gli intarsi laterali dell'altare) quasi a favorire visivamente il contrasto tra lo scuro e il chiaro, la notte e la luce, le tenebre e l'alba, la morte e la vita: è l'annuncio della Pasqua che nel mistero dell'acqua battesimale si compie.
Non ci sfugge lo
stemma del Comune di Bussolengo posto proprio in bella mostra.
Ci dice che la nostra società civile e i suoi amministratori han voluto farsi presenti “ ad immemorabili”e “ad perpetuam rei memoriam” (= ancora da tempi antichissimi e perché i posteri ne conservino il ricordo) nella nostra chiesa. Abbiamo voluto rimettere in rilievo lo scudo con l'aquila e il bosso, per evidenziare il continuo legame, nel dovuto rispetto delle autonomie e differenze, tra la società civile e la comunità cristiana; ancor di più: tra la fede e la vita.
E, per parlare di simboli visivi presenti negli elementi celebrativi, certamente non passerà inosservato il fregio della sede e dell'ambone (ad opera completata) che richiamano il motivo del paliotto dell'altare, ad indicare un'unità celebrativa che ha il suo centro e la sua pienezza appunto sull'altare quando la Parola ascoltata, annunciata e servita diventerà Pane spezzato.
Mi è gradito e doveroso, anche a nome di tutta Bussolengo, ringraziare chi ci ha permesso di avere la gioia di ammirare e soprattutto di celebrare in questo affascinante spazio liturgico. Sono una decina d'anni che comunità, preti, tecnici si trovano e discutono, studiano e cercano soluzioni. Noi arriviamo alla fine di un percorso e abbiamo il privilegio e la contentezza di coglierne e assaporarne i frutti.
Non citiamo nessun nome per non correre il rischio di essere ingenerosi nei confronti di altri che in differenti maniere e secondo proprie possibilità hanno contribuito e possono venir dimenticati. Se Dio scrive il bene con pennino d'oro sul libro della vita (e non dimentica), a noi semplici mortali non rimane che, poveramente esprimere una piccola parola che ha il sapore della vita, il gusto della riconoscenza, la coscienza dell'insufficienza.
Ma è “nostra”; appartiene a dei poveri che vengono arricchiti dalle persone e i loro gesti di generosità, di competenza, di maestria: grazie di cuore, allora, a tutti coloro che a vario titolo e modalità hanno contribuito a donare e ad avere ciò che abbiamo per celebrare il Mistero dove ha senso celebrare.
Grazie davvero e che Dio ne renda il merito.